«Pensaci; Giacomino! fu scritta fra la fine di febbraio e i primi di marzo del
1916 per Angelo Musco. È il primo testo di Pirandello concepito per la scena
siciliana. Il testo originario della commedia bilinque, destinato a Musco, non
fu mai pubblicato dall'Autore, né se ne è rintracciato l'autografo»: cosi
Alessandro d'Amico, curatore dell'edizione critica delle Maschere nude. Del
testo dialettale si conservano tuttavia due copioni manoscritti di mano di
Giuseppe Murabito, suggeritore e copista della Compagnia di Angelo Musco. La
prima rappresentazione avvenne il 10 luglio 1916, al Teatro Nazionale di Roma.
La versione in lingua italiana comparve sulla rivista «Noi e il Mondo».
Seguirono altre ristampe con vari rimaneggiamenti.
La commedia, ricavata dall'omonima novella pubblicata sul «Corriere della sera»
del 23 febbraio 1910 e inserita nella raccolta La giara, è ambientata in una «cittaduzza
di provincia» Nel primo atto il settantenne professor Agostino Toti, insegnante
di storia naturale nel locale ginnasio, prima di ritirarsi in pensione, ha
deciso di prendere moglie per mettere fine alla sua lunga solitudine. Infatti
per lui l'unica compagnia è la propria ombra, ma precisa: «A casa, il sole non
c'è, e non ho più con me neanche la mia ombra». Se il magro stipendio di
insegnante non gli ha consentito prima di mantenere una famiglia, ora da vecchio
vuole scegliersi una moglie giovane per obbligare il governo a pagare la
pensione non soltanto a lui per i pochi anni di vita che gli restano ma, dopo la
sua morte, anche alla moglie. L'attenzione del professor Toti cade su Lillina,
sedicenne figlia del bidello Cinquemani, il quale è onorato della scelta,
senonché Lillina è stata sedotta da un ex alunno del professore, Giacomino
Delisi, un giovane «scioperato», e ora attende un figlio. L'incresciosa
circostanza sembra compromettere il progetto del vecchio; ma, poiché il bidello
scaccia la figlia disonorata, il professor Toti soccorre la ragazza
accogliendola in casa sua.
Nel secondo atto il professore ha sposato Lillina ed è nato il bambino Ninì, su
cui Toti riversa un affetto di padre, anzi di nonno, dal momento che il padre
naturale, Giacomino, frequenta liberamente Lillina che potrà sposare quando sarà
vedova. Intanto, per un'insperata eredità lasciatagli dal fratello morto in
Romania Agostino Toti è diventato ricco, ha depositato il denaro nella Banca
Agricola cittadina e come maggiore azionista ha potuto impiegarvi Giacomino. La
serenità regnerebbe nella particolare famiglia del professor Toti, se le
malelingue del paese non la insidiassero. Portavoce del pettegolezzo cittadino è
il direttore del ginnasio, il cavalier Diana che chiede a Toti di porre fine
allo scandalo che investe l'istituzione scolastica, mettendosi finalmente a
riposo. Ma il professore non sente ragione e accetta «la guerra» con tutto il
paese maldicente. Un'altra ombra è venuta però a oscurare la felicità familiare.
Lillina sta male perché da tre giorni Giacomino non viene a trovarla. La sorella
maggiore di Giacomino, Rosaria Delisi, bigotta e bacchettona, «ha messo sossopra
tutta la gente di chiesa sacerdote per sacerdote», per sottrarre il fratello
alla situazione irregolare. Il prete don Landolina si reca in casa del
professore e con parole melliflue gli chiede di rilasciare alla sorella di
Giacomino - che è riuscita a convincere il fratello a non frequentare più
Lillina - un «piccolo attestato» sulla infondatezza di tutte le dicerie. Il
professore rassicura il sacerdote.
Nel terzo atto Toti, con il piccolo Ninì per mano, si reca in casa Delisi per
mettere Giacomino di fronte alle sue responsabilità. Il giovane si lascia
sfuggire di essersi fidanzato; allora il vecchio «vacilla, come per una mazzata,
sul capo» e per un momento cede allo sconforto, ma poi lo ammonisce: «Io sono
buono, ma appunto perché sono così buono, se vedo la rovina d'una povera donna,
la rovina tua, la rovina di questa creaturina innocente, io divento capace di
tutto! Pensaci, Giacomino!». E minaccia il giovane di farlo licenziare dalla
banca e di presentarsi con il bambino in casa della fidanzata, per scuoterne la
coscienza. Giacomino prova a protestare, ma il vecchio prende Ninì «e glielo
appende al collo. Giacomino non resiste più; lo abbraccia; lo bacia sulla testa»
e, rivolto alla sorella, dice: «Non posso più sciogliermi, Rosaria! Lasciami
andare!». Al padre Landolina - che è presente alla scena e si interpone
gridando: «Giacomino, io credo...» - il professor Toti ribatte, zittendolo: «Che
crede? Lei neanche a Cristo crede!».
Alla prima rappresentazione, il pubblico romano fu coinvolto dallo scioglimento
patetico dell'azione, superando l'iniziale disagio per l'«immoralità» della
vicenda, che già aveva scandalizzato nel 1910 i lettori della novella pubblicata
dal «Corriere della sera». II giudizio della critica, che assegnò la commedia al
genere «grottesco», fu in complesso positivo. Lo spettacolo ebbe tre repliche
consecutive a Roma e sette a Milano; in sei mesi l'autore ne ricavò più di 2000
lire. Il testo siciliano ebbe il suo protagonista naturale in Angelo Musco, che
nel 1936 ne interpretò un adattamento cinematografico di Guglielmo Giannini,
diretto da Gennaro Righelli. La versione in lingua (rappresentata al Teatro
Valle di Roma il 25 aprile 1932) ebbe invece come interprete esemplare Sergio
Tofano, che diede al professor Toti le sembianze argute dell'autore. Importante
è stata l'interpretazione di Salvo Randone, che dal 1975 legò il suo nome a
quello del protagonista per più stagioni teatrali.
Il rapporto fra la novella originaria e la commedia è stato così precisato da
Gaspare Giudice: «Nella commedia, la condanna morale, da elemento secondario, si
fa argomento principale. Pensaci, Giacomino! diventa una rappresentazione
dell'ipocrisia della società e del vittorioso battersi di un piccolo eroe contro
di essa».
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